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C’era una volta il vino

Origini, declino, rinascita della viticoltura nella bassa Valle del Chiese

( Tione di Trento, 17 Ottobre 2019 )

Cosa ci può raccontare la vista di un paesaggio del territorio in cui siamo? Di quanti strati storici è fatto il nostro territorio e quali sono le tracce nascoste che ci raccontano di una storia che dura da svariati secoli?

Quando vengono poste queste domande all’interno del territorio della Riserva di Biosfera Alpi Ledrensi e Judicaria le risposte, anche se non semplici da trovare, sono sempre estremamente interessanti. Nella bassa Valle del Chiese nei Comuni di Storo e di Bondone con uno sguardo al paesaggio che partendo dalla campagna sale sempre più ripido fino alle cime dei monti, un occhio attento può intravedere un elemento paesaggistico particolare, ovvero dei terreni terrazzati esposti tendenzialmente a sud.

La mente del buon osservatore inizierà perciò a costellarsi di domande: cosa ci fanno questi terrazzamenti qui? Chi li ha costruiti e perché? Un occhio ancora più attento si accorgerà che su alcuni di questi declivi sono presenti alcune coltivazioni a filari che se osservati in questa stagione iniziano a tendere al giallo/arancione, niente di meno che viti.

Molte zone del Trentino sono famose per la viticoltura ma di sicuro non si è mai sentito parlare di uva e vino in Valle del Chiese. Tutt’altro, la coltivazione e trasformazione della vite e dell’uva hanno una storia molto antica in Valle del Chiese. Indagando nelle pieghe della storia ci si accorge che nel 1200/1300 grazie ad un cambiamento climatico che mitigo il clima nelle Alpi, le popolazioni di allora iniziarono la coltivazione della vite arrivando a coltivarle fino a 1200 metri di quota.

La viticoltura diventò subito un’attività molto importante per le comunità locali tanto da averne testimonianza all’interno degli statuti delle comunità di allora. Per esempio, negli statuti di Darzo del 1445 si dice che “Con l’istituzione della taverna comunale si vieta ai “vicini” la vendita del vino al minuto, l’inizio della vendemmia rima del giorno stabilito dai “consoli” con la sola eccezione di urgente bisogno, restando libera la vendemmi solo nei vigneti in prossimità delle abitazioni”. La coltivazione della vite prosegue nei secoli, ma incontra una prima battuta di arresto tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 a causa di un’imponente epidemia di filossera, malattia della vite che sterminò i vitigni originali del territorio non resistenti a questa malattia.

Presto vennero trovati dei sostituti a questi vitigni originali, importando dall’America, due tipologie di viti il “Clintòn” e l’”Uva Fraga Americana”; sin da subito questi vini vennero assorbiti dalla tradizione vitivinicola locale e come ricordano alcuni anziani, svariate erano le famiglie che possedendo alcuni piccoli appezzamenti coltivati con questi vitigni, dopo la vendemmia autunnale, producevano vino per uso famigliare. Erano vini da pasto di non elevata qualità e basso grado alcolico, non commercializzabili, ma comunque utili per integrare la dieta.

Gli stessi anziani raccontano di come spesso veniva aggiunto zucchero a questi vini per alzarne il grado alcolico e per migliorarne il sapore e di come questi vini - in particolare il vino “Portoghes” fatto con il vitigno Portoghese proveniente però dall’Austria e dalla Germania - venissero usati, diluiti con l’acqua, come dei veri e propri integratori, utilizzati dai contadini nei periodi dello sfalcio. La seconda e più imponente battuta di arresto per la viticoltura in Valle del Chiese avvenne a cavallo fra gli anni ’60-’70 del secolo scorso e questa volta non fu per malattie della vite ma per cause umane.

Non diamo giudizi su quello che successe in quegli anni ma l’avvento della modernità e dell’industria in queste zone causò dapprima un progressivo abbandono dell’attività agricola e quindi anche della coltivazione della vite; estesi terreni coltivati vennero progressivamente abbandonati e diventarono ben presto terreno edificabile dove costruire case e villette per le comunità che si stavano ingrandendo e non volevano più abitare nelle strette e antiche case dei centri storici.

Sopravvissero nel tempo ancora alcuni vigneti, molti dei quali però vennero estirpati intorno al 2010 a causa di una malattia epidemica della vite per cui non c’era altra soluzione che la distruzione dei vigneti.

Ma la storia della coltivazione della vite è definita proprio questa straordinaria pianta; dopo una lunga battuta di arresto “invernale”, inizia a rivedere in questi anni una gemmazione, una nuova “primavera”. Sul territorio, infatti, si stanno moltiplicando le iniziative di privati che stanno ripristinando vecchi impianti vitivinicoli o anche dissodando e bonificando appezzamenti abbandonati per la coltivazione della vite.

Molti di questi ormai producono uva per base spumante che viene conferita per la produzione del Trento DOC, alcuni hanno una piccola produzione famigliare di vino, mentre in alcuni terreni sono stati creati impianti di Uva Fraga Americana, una particolare varietà di uva nera da pasto, resistente alla maggior parte delle malattie della vite. Un’iniziativa su tutti però spicca ed è quella dell’associazione “Culturnova del Chiese” che grazie ad alcuni ambiziosi contadini e alla fondazione con la Fondazione Mach di San Michele all’Adige ha selezionato una nuova tipologia di uva resistente adatta al territorio, con la quale da circa due anni è stato prodotto il vino “Clisium”, un vino bianco moderno che poggia le sue basi sull’antica storia della viticoltura in Valle del Chiese.

Origini, declino, rinascita della viticoltura in Valle del Chiese e nel territorio della Riserva di Biosfera sono un ulteriore testimonianza dello sforzo e della caparbietà di questo territorio e delle sue Comunità nel garantire un equilibrato e sostenibile rapporto fra Uomo e Natura.

Panorama dei vecchi terrazzamenti
Panorama dei vecchi terrazzamenti
 
Vigneto con grappoli
Vigneto con grappoli
 
Vitigno portoghese
Vitigno portoghese
 
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